Teatro

Percorsi surreali e stazioni di santità

Percorsi surreali e stazioni di santità

Come si può aggiungere bellezza e mistero ad un luogo già di per sé avvolto dal mistero e totalmente abitato dalla bellezza, come è, appunto, il Museo del Tesoro di San Gennaro di Napoli? Come si può rendere ancora più luminosa questa perla della realtà museale locale ed internazionale, testimonianza della grande civiltà di un popolo, quello napoletano, che, nonostante tutto, vanta una tradizione culturale e artistica millenaria? Come si può addizionare fascinazione a fascinazione, incanto ad incanto, suggestione a suggestione, senza che l’una possa gettar ombra sull’altra, senza che l’oggi emerga quale pallidissima rifrazione di quel che è stato? Queste certamente le considerazioni che devono aver aguzzato l’ingegno di Paolo Jorio, Direttore del Museo del Tesoro di San Gennaro, giustamente impegnato nell’attrarre attenzione sul polo museale che dall’8 aprile al 12 giugno esporrà al pubblico la più incredibile collezione di preziosi e capolavori che possa esser vantata da un museo nato dai fondi appartenenti ad una deputazione religiosa.

Il Direttore Jorio, però, la soluzione l’ha trovata grazie all’intervento di Rosi Padovani, creatrice del format ContAminArte, format che si ripromette di offrire contaminazioni artistiche fuori dai tradizionali sistemi della rappresentazione, oltre i luoghi consuetudinariamente destinati alla realizzazione ed alla fruizione dell’opera d’arte.

Così lo scorso 8 marzo, in occasione della mostra fotografica di Francesco Padovani, ContAminArte ha affidato al genio di Roberto Azzurro il compito di mettere in scena alcune surreali fantasmagorie drammaturgiche partorite dall’impareggiabile vena creativa di Manlio Santanelli  ed ne è risultata la magnifica performance dal titolo “Le parenti di San Gennaro”,  una sorta di messinscena itinerante che, sviluppandosi in diversi momenti, attraverso le varie sale del museo, ha dimostrato la validità di un assunto determinante di questo tipo di operazione e cioè che non è necessario restare all’interno di dimensioni spaziali consolidate dalla tradizione per ottenere risultati esaltanti e di grande potenza comunicativa, anzi proprio il lavoro funzionale ad esperire soluzioni registiche intelligenti e calibrate, come quelle escogitate da Roberto Azzurro con la creatività e l’estro che tutti gli riconosciamo, si configura come interessantissima occasione di confronto dinamico ed osmotico tra il pubblico e l’artista.

Piacevolmente guidati dalle bellissime musiche scritte per l’occasione dal compositore, attore e regista Paolo Coletta, trascinati ed affabulati dalla bella voce di Carmine De Domenico e dalle magnifiche interpretazioni degli attori, tutti indubbiamente superlativi da Roberto Azzurro alla sempre straordinaria  Gea Martire, da Giancarlo Casentino ad Anna Moriello e Federica Aiello, senza dimenticare i giovani e talentuosissimi Antonio Agerola e Marco Sgamato, e la partecipazione del granitico James Senese, ci siamo immersi di sala in sala, trapassando tra argenti e monili d’inestimabile valore ed è stato come immergersi nel caleidoscopico antro della visione e della rimembranza,  in un singolare varco scavato tra l’ipotetico e l’impossibile, lì dove fantasie improbabili e ricordi un poco stinti trascolorano gli uni negli altri, dando forma a quella trionfante teoria della memoria che trasforma voti, miracoli e preghiere in un’unica eterna liturgia in cui sacro e profano si fondono indistinti.